LIBRI

Tommaso Traetta – IL CAVALIERE ERRANTE

Il Cavaliere Errante, dramma eroicomico (1778) su libretto di Giovanni Bertati, appartiene all’ultimo periodo creativo di Tommaso Traetta. Egli fu un maestro anche nell’opera buffa in cui ha sviluppato il lato amabile del suo talento sino all’originalità ed ha acquisito leggerezza nell’espressione musicale. L’opera è in sostanza una favola: un principe spagnolo fa rapire la dama della quale è innamorato, la confina in un’isola incantata e lì, con i sortilegi di un mago, tenta di convincerla a sposarlo. La dama è però innamorata del Cavaliere Errante che, grazie all’aiuto di una maga buona ed insieme al fedele servo, riesce ad annullare i sortilegi, a liberare l’amata e a sposarla. La partitura è ricca di parodie, di recitativi ed arie virtuosistiche per tutti i personaggi e presenta alcuni tòpoi utilizzati dai suoi successori, da Mozart a Rossini.

Tommaso Traetta – MESSA IN DO

Nella biografia di Traetta è sempre stato messo in rilievo il contributo alla storia dell’opera europea con oltre quaranta titoli sia seri che comici. È stata invece meno considerata la produzione ugualmente significativa in campo sacro.
Di “pienezza” e “vivacità” di immagini musicali è infatti piena la Messa in Do, che presenta nella sua struttura generale la tipica alternanza tra interventi corali e dei solisti.
La proposta esecutiva di questa edizione offre la trascrizione filologica di tutte le parti vocali e riassume l’orchestra per solo accompagnamento di tastiera: una soluzione che permetterà a questa composizione di poter essere eseguita da tutte le compagini corali anche quando non sia disponibile una vera orchestra
Una composizione di grande fascino che contribuisce a conoscere più in profondità il repertorio musicale religioso di uno dei maggiori compositori europei del pieno Settecento.

Tommaso Traetta – STABAT MATER di Napoli

La sequenza medievale Stabat Mater dolorosa, il cui testo adespoto è tradizionalmente attribuito a Jacopone da Todi, ebbe una notevole fortuna durante la Controriforma cattolica ed entrò presto nei repertori orali delle confraternite laicali soprattutto nell’Italia meridionale, costituendo un forte momento emozionale alla vigilia della Settimana Santa. Tuttavia questo capolavoro fa parte di una tradizione compositiva che ha caratterizzato la trasmissione di uno stile musicale sacro peculiare della cosiddetta “scuola napoletana”. Gli strumenti di ricerca oggi a disposizione dei musicologi consentono di osservare una diffusione dello Stabat di Traetta molto più ampia di quel che si pensasse qualche decennio fa ed una presenza così diffusa non può che testimoniare la fortuna di questa composizione, che oggi possiamo dichiarare ben meritata. In essa due delle voci operano da soliste (soprano e contralto) alternandosi con le parti per coro pieno a quattro voci: questo elemento rende lo Stabat di Traetta l’ideale punto di convergenza delle due tradizioni napoletane quella a più voci che parte dal Seicento e quella a due voci di soprano e contralto consacrata dai capolavori di Scarlatti e Pergolesi.

Niccolò Van Westerhout – LIRICHE

Ingiustamente negletta era rimasta finora la produzione di musica vocale da camera che pure contrassegnò tutta la carriera di Niccolò van Westerhout.
Le 30 liriche che qui si pubblicano per la prima volta in edizione moderna testimoniano della continuità compositiva in questo genere per quasi quindici anni. Le più antiche risalgono all’anno 1879 (due versioni di “Canto melanconico” sui versi rispettivamente di due poeti scapigliati, Emilio Praga e Ugo Tarchetti), quando “Niccolino” aveva 22 anni e cominciava a farsi conoscere nell’ambiente napoletano anche grazie al favore di stimati intellettuali che lo avevano scoperto. La gran parte risalgono invece all’ultimo decennio di vita, in particolare gli anni 1888-1890.
A conclusione dell’antologia di romanze da camera è stata opportunamente inserita una “Salve Regina” davvero particolare: si tratta di una pagina esplicitamente tratta dall’opera Doña Flor.
Le caratteristiche di scrittura delle romanze da camera di van Westerhout sono il trattamento sillabico e per moto congiunto della melodia, l’accompagnamento strumentale delicato ed esitante, ed un’atmosfera generale introversa e pervasa di dolce malinconia.

Niccolò Van Westerhout – Liriche per voce e pianoforte

Il carattere dimesso e riservato, non impedì certo al Van Westerhout di farsi ben volere a Napoli. Il suo salotto divenne presto assai frequentato ed a lui si legarono importanti personalità artistiche da Arturo Colautti a Gabriele D’Annunzio.
Attento alle novità sinfoniche d’oltralpe, fu tra i primi a far conoscere nell’ambiente partenopeo i drammi musicali di Richard Wagner, a farne apprezzare l’immanente trascendenza dei soggetti e quell’ardito cromatismo di cui farà tesoro nella sua stessa produzione. Questa apertura culturale è quanto mai riscontrabile nei testi che Van Westerhout sceglie di musicare nelle proprie liriche da camera; dalla scapigliatura milanese di Tarchetti e Praga, alle strofe post risorgimentali di Cavallotti, dai versi di un insigne napoletano come Rocco Pagliara, alla scelta di ben tre penne femminili tra cui Evelina Cattermole ed Annie Vivanti, apprezzate letterate dall’eccentrica individualità. Un cenno particolare merita il poeta Heinrich Heine, il più musicato dal Westerhout che con questi condivide la convinzione dell’ispirazione artistica quale momento di pura realtà personale, affondando le radici in quell’intimismo romantico che, disincantato, volgeva ora al crepuscolo.Ed è proprio in questa produzione che abbiamo la sensazione di conoscere da vicino la sensibilità di Nicolino, i suoi pensieri, la sua solitudine e quell’elegante melanconia che fa di lui una delle più indugiate riscoperte dell’Ottocento italiano, all’ombra dei cui fasti attende ancora oggi il suo grande e meritato plauso.

Pasquale La Rotella – STABAT MATER

Nella parabola compositiva di Pasquale La Rotella (Bitonto, 5 marzo 1880 – Bari, 20 marzo 1963) la musica sacra rappresenta un capitolo importante e significativo almeno quanto quello che lo vide operista, direttore d’orchestra, didatta e primo direttore del Liceo Musicale “Piccinni” di Bari. La maggior parte della sua produzione sacra risale agli anni in cui fu magistro et rectore della “Schola Cantorum” della Regia Basilica Palatina di San Nicola. Bisognerà scavalcare cronologicamente due guerre e quaranta lunghi anni di brillante e multiforme carriera di musicista a tutto tondo per trovare ancora nuove pagine di musica sacra. L’occasione per mettere in musica il celebre testo di Jacopone Da Todi gli venne dalle celebrazioni per i 230 anni dalla nascita di Tommaso Traetta. In stretta correlazione con l’opera del celebre conterraneo, La Rotella decise di confrontarsi con la trattazione di uno dei più elevati soggetti dell’arte sacra occidentale, componendo, alla veneranda età di settantasette anni, il “suo” Stabat.

Michele Cantatore – TERZA MESSA

Michele Cantatore è senz’altro una delle personalità più rilevanti che la cultura ruvese abbia mai espresso. Un caso bellissimo di vittoria della cultura sulla povertà, della luce sul buio, della spiritualità sulla durezza degli eventi. Un esempio raro di come l’arte e la bellezza possano diventare veicoli per un riscatto sociale, per una emancipazione dalla tristezza e dalla inerzia del destino. Il legame con la sua realtà locale è fondamentale. La creazione di una autentica tradizione legata alla comunità cristiana di appartenenza fa’ sì che la musica composta non sia un’espressione soggettiva dell’autore ma diventi un patrimonio comune di fede e arte. I 50 anni di servizio musicale svolto da Cantatore serve a noi tutti di esempio e di incoraggiamento nel vivere con consapevolezza ed entusiasmo, con rigore ed umiltà il lavoro musicale nella Chiesa, senza protagonismi inutili, senza ambizioni fuorvianti, mossi solo dalla fede e dall’amore per la bellezza avendo come fine supremo la lode di Dio. Michele Cantatore ha concluso il suo lunghissimo concerto nel 2005 lasciando ai concittadini ruvesi un debito importante; questo volume è un primo piccolo modo per ringraziarlo.

CD

EFFLUVII – Gabriele D’Annunzio pel tratturo regio al piano di Puglia

Ancora un doppio disco imperniato, questa volta, sulla figura di Gabriele D’Annunzio. Il poeta, molto apprezzato dagli studiosi di cultura italiana nel mondo, è stato spesso preso a modello dal mondo musicale per la sonorità dei suoi versi. Il primo dei due CD è dedicato ai suoi contemporanei, a tutti quei musicisti pugliesi che per qualche ragione sono entrati in contatto con il Vate o con la forza dei suoi versi come Niccolò van Westerhout, Franco Casavola, Pasquale La Rotella e Rito Selvaggi. Il secondo disco, invece, è stato interamente commissionato dal Traetta Opera Festival a compositori contemporanei della scena pugliese, molti dei quali under 30. Tra versi mai posti in musica e interessanti raffronti con celebri composizioni, si presenta come una produzione del tutto originale, ricca di spunti interessanti e importante finestra sul panorama musicale contemporaneo della nostra regione.

CHORAI

CHORAI – Salotto musicale pugliese

Questo doppio disco vuole essere un omaggio al genio creativo pugliese. La romanza da camera, al centro del nostro “salotto”, si impone da sempre quale momento di massima sintesi tra musica e parola e ancor di più quando a fare da fil rouge è l’amore incondizionato per una terra ora generosa ed ora brulla ma sempre colma di affetto per i propri figli. A confronto, in un ideale di continuità, diverse generazioni di compositori dal primo Novecento (Abbate, La Rotella, Costa, Fiume) ai nostri giorni, passando per Nino Rota ed i suoi allievi con brani originali appositamente commissionati dal Traetta Opera Festival. Non importa se a suggerire le composizioni qui raccolte siano i versi di grandi poeti del passato o di giovani autori (anch’essi pugliesi), la sincerità dell’ispirazione musicale le lega indissolubilmente a quel sentire intriso di colori e profumi, di terra, di mare, di secoli di storia e di infinito vagare che è da sempre elemento identitario della nostra regione.

Liriche

LIRICHE – Niccolò van Westerhout (1857-1898)

Il carattere dimesso e riservato, non impedì certo al Van Westerhout di farsi ben volere a Napoli. Il suo salotto divenne presto assai frequentato ed a lui si legarono importanti personalità artistiche da Arturo Colautti a Gabriele D’Annunzio.
Attento alle novità sinfoniche d’oltralpe, fu tra i primi a far conoscere nell’ambiente partenopeo i drammi musicali di Richard Wagner, a farne apprezzare l’immanente trascendenza dei soggetti e quell’ardito cromatismo di cui farà tesoro nella sua stessa produzione. Questa apertura culturale è quanto mai riscontrabile nei testi che Van Westerhout sceglie di musicare nelle proprie liriche da camera; dalla scapigliatura milanese di Tarchetti e Praga, alle strofe post risorgimentali di Cavallotti, dai versi di un insigne napoletano come Rocco Pagliara, alla scelta di ben tre penne femminili tra cui Evelina Cattermole ed Annie Vivanti, apprezzate letterate dall’eccentrica individualità. Un cenno particolare merita il poeta Heinrich Heine, il più musicato dal Westerhout che con questi condivide la convinzione dell’ispirazione artistica quale momento di pura realtà personale, affondando le radici in quell’intimismo romantico che, disincantato, volgeva ora al crepuscolo.
Ed è proprio in questa produzione che abbiamo la sensazione di conoscere da vicino la sensibilità di Nicolino, i suoi pensieri, la sua solitudine e quell’elegante melanconia che fa di lui una delle più indugiate riscoperte dell’Ottocento italiano, all’ombra dei cui fasti attende ancora oggi il suo grande e meritato plauso.

Natal'è

NATAL’È

I brani che compongono questo disco sono come tanti fiocchi di neve. L’attesa del Natale ha cento volti. È un bambino che nasce, un bambino che aspetta, un bambino che ride, un bambino che canta, come i piccoli del coro di voci bianche “Caffarelli” che insieme a Federica D’Agostino aprono il disco con Christmas Time di Rocco Cianciotta, prima registrazione assoluta per la giovanissima formazione del Teatro Traetta di Bitonto diretta da Emanuela Aymone.
Natale è un ricordo, un canto di gioia. I brani del celebre compositore bitontino Tommaso Traetta e di suo figlio Filippo Trajetta, compositore ed intellettuale italo-americano di successo, ci conducono attraverso la voce del soprano Daniela Degennaro, in un passato semplice e delicato.
Natale è una speranza. È il peregrinare sul vento freddo del protagonista di Viaggio di Natale di Rocco Cianciotta, il cui racconto fedele e laico, scritto e narrato da Maurizio Pellegrini, ci porta a spasso per le case d’Europa, giungendo dritto a noi.
Natale è una sorpresa che Pietro Laera regala con la sua Improvvisazione per pianoforte, emozione intima e condivisa, oltre la parola.
E c’è chi la notte di Natale la vive in altre notti ugualmente speciali, come accade a noi pugliesi con San Nicola, il «vero» Santa (Ni)Claus, la cui storia e tradizione è affidata al linguaggio evocativo di Pantaleo Gadaleta, vera raccolta di immagini sonore ai versi di Maurizio Pellegrini.
Natale è il nostro correre, il nostro stare insieme, le cartoline, il presepe, i regali, i sogni che appendiamo all’albero e i buoni propositi che promettiamo a noi stessi mentre con gli occhi che brillano pensiamo a domani, pensiamo a ieri; ed ecco che la voce del coro “Caffarelli” in Natale nel mondo dell’indimenticabile Raffaele Gervasio si trasforma nella viva voce di tutti noi.

Trajetta

FILIPPO TRAJETTA – Un musicista italiano in America

L’album monografico raccoglie tre quartetti e tre marce scritti dal compositore Filippo Trajetta (1777-1854), figlio del celebre operista bitontino Tommaso Traetta dopo essersi trasferito negli Stati Uniti agli inizi dell’Ottocento. Si tratta di composizioni di grande importanza storica, oltre che dalla incredibile bellezza, che tornano a brillare di una luce nuova grazie al lavoro del Modus String Quartet. Trasferitosi a Napoli per continuare con gli studi di armonia e contrappunto con Fedele Fenaroli e fare apprendistato con il celebre Niccolò Piccinni, Filippo fu coinvolto nei moti rivoluzionari del 1799 contro il re Ferdinando IV di Napoli; fu arrestato per essere l’autore di diversi inni patriottici per i quali venne rinchiuso nei sotterranei di Castel dell’Ovo. Dopo una rocambolesca fuga, riuscì a salire a bordo del vascello Mount Vernon diretto in America, dove sbarcò il 3 luglio del 1800. Si stabilì dapprima a Boston, dove, assieme ai colleghi musicisti François Mallet e Gottlieb Graupner, fondò l’American Conservatory e compose alcune delle sue prime opere, inclusa la “Washington’s Dead March” e i quartetti raccolti in questo album. Si trasferì poi a New York, dove vennero alla luce gli oratori e l’opera “The Venetian Maskers”, spesso citata come la prima opera composta negli Stati Uniti.

Alfonso Rendano (1853 – 1931) – PORTRAIT

Pianista di gran classe, musicista solitario, curioso, apolide ma mai dimentico delle proprie radici, battagliero ma anche discontinuo, capace di proiettarsi alla ribalta con pionieristiche imprese, eclatanti exploits ma pronto anche a defilarsi del tutto con fughe orgogliose, ostinati silenzi e prolungate assenze dalle scene. In breve si potrebbe delineare così il profilo di Alfonso Rendano, esponente alquanto trascurato di quella generazione italiana di metà Ottocento cui toccò il difficile compito di ricucire le distanze tra il “paese del melodramma” e la cultura classico-romantica europea. Le composizioni riportate in questo disco ci consegnano un doppio ritratto di Rendano ai suoi esordi, capace di muoversi come compositore su registri diversi. Le tre valses, risalenti ai primi anni settanta, pur nel loro carattere differenziato, ci restituiscono il volto del giovane pianista-compositore pienamente inserito nel costume del proprio tempo, ovvero in quella Salonmusik attraverso cui si costruivano le basi di tutte le carriere pianistiche ottocentesche ed in cui era buona norma presentarsi anche con proprie composizioni che avessero tratti eleganti, seducenti, più facilmente comunicativi. Tutt’altro versante quello su cui si muove il Quintetto in la minore per pianoforte e archi che, insieme al Concerto per pianoforte e orchestra, costituisce il frutto compositivo più impegnativo degli anni giovanili di Rendano: non a caso le due opere vennero presentate dal loro autore come “biglietto da visita” in uno dei momenti più importanti della sua carriera: l’incontro con Liszt e le esibizioni alla corte granducale di Weimar, nel 1880. Il suo Quintetto conobbe sì altre (sporadiche) esecuzioni ma non venne pubblicato durante la vita del suo autore e rimase un unicum la cui conoscenza fu limitata a una cerchia di pochissimi addetti ai lavori. Sorprendente destino riservato a un’opera di spessore non comune i cui quattro movimenti danno prova di un’adesione tutt’altro che impersonale al lessico e alle convenzioni formali del camerismo classico-romantico. La gestualità, alcuni profili motivici, l’impronta di fondo della texture, con gli archi spesso uniti e differenziati dal pianoforte cui è destinato un ruolo-guida nel discorso, sono identificabili senza dubbio come riferimenti al Quintetto in Mib maggiore, capolavoro schumanniano.